Febbraio 2022, sembrava impossibile ma ce l’abbiamo fatta. Le Olimpiadi invernali di Pechino sono finalmente partite, nonostante le mille difficoltà legate alla pandemia. 

Se le Olimpiadi estive di Tokyo hanno fin dai primi giorni aperto una finestra di riflessione sull’importanza della salute mentale degli atleti, le Olimpiadi invernali ci stanno mostrando schiettamente che le gioie di una vittoria non sono tutte uguali. Ci sono gioie serene e gioie disperate.

Prendiamo i nostri atleti. Nello stesso giorno Stefania Costantini e Amos Mosaner vincono l’oro nel curling, mentre Federico Pellegrino conquista l’argento nella sprint a tecnica libera nello sci di fondo. I primi gioiscono, un po’ increduli salgono sul podio col sorriso stampato in volto e cantano l’inno godendosi il momento, senza mai abbandonare quell’imbarazzo di essere sul tetto del mondo per la prima volta nella vita. Il secondo non appena taglia il traguardo inizia a piangere e non smetterà di farlo fino a quando sarà finalmente in hotel (lui stesso sui social posta le considerazioni post gara scrivendo di aver finito le parole e anche le lacrime). Un pianto sofferente, possiamo intuire non solo per la fatica appena compiuta ma per il quadriennio attraversato per arrivare sin lì.

Sono due facce della stessa emozione - la gioia - che proviene però da percorsi diversi. I ragazzi del curling arrivano certamente determinati (perchè è pur sempre un evento olimpico, non certo una scampagnata!) ma senza grandi aspettative. Ricordiamo che in Italia i tesserati nella federazione sono 350, in Canada solo 100 volte in più.

Chicco Pellegrino invece arriva con già una medaglia olimpica al collo da confermare e con alle spalle una stagione avara di successi, a cui si aggiungono le polemiche rispetto alla scelta di allenarsi in estate con i russi. Come se questo non bastasse, Chicco porta sulle spalle il fardello di una disciplina che non riesce a contare su nuove leve. Ed ecco allora la gioia disperata, di una medaglia sofferta, frutto evidentemente di una fatica che è più di nervi che di gambe.

Possibile che di fronte alla medesima situazione, atleti diversi vivano emozioni con sfumature tanto diverse? Possibile. E questo deve farci riflette, quando siamo seduti sul divano e critichiamo e gioiamo e tifiamo e ci fingiamo esperti della disciplina del momento, sulla storia e sui percorsi che ciascun atleta compie. Non dimenticandoci mai che dietro a ogni atleta, prima di tutto ci sono ragazzi e ragazze, ciascuno con i propri demoni, le proprie fatiche e i propri sogni che si sono concessi di sognare e di provare a realizzare.