Quando ci si avvicina al Valtellina Wine Trail si ha sempre un po’ di timore. Perché è una gara dura, lunga e impegnativa. Ma questo timore, quando ci sei dentro, lascia ben presto spazio alla gioia e alla soddisfazione di esserci. Sì perché il Valtellina Wine Trail ti mette alla prova fin da subito, sfidandoti a una corsa senza fiato per guadagnarti l'ambitissimo pettorale.

E poi ti ritrovi lì alla linea di partenza (io ho corso la 21km, ma era possibile scegliere anche le altre distanze di 42 o 12 km) nel mezzo del campo sportivo di Chiuro, inondato di sole e circondato di montagne innevate....la speaker che fa il count down, da’ lo start e annuncia “Ci vediamo a Sondrio!” (chi non ha pensato “speriamo di arrivarci”?!). Ok non si scherza più, si inizia a correre e soprattutto a salire. Perché il Valtellina Wine Trail è così, fatto di salite, di passaggi tra le vigne, nelle cantine, attraverso i paesi e i boschi. Ma non luoghi qualsiasi. Luoghi belli, proprio belli nei loro colori e profumi autunnali. Che poi forse quello che fa unico il VWT è la partecipazione di chi segue tutti i 1200 atleti in gara (a cui si aggiungono i 1300 delle altre due distanze). Abitanti dei paesi attraversati, tifosi, volontari, staff e fotografi....senza dimenticare i bambini che quando ti chiedono di battergli il 5 ti danno una carica pazzesca! E dopo 21 km di sensazioni miste, di spavalderia (iniziale) e di crampi (circa a -5 km) l’arrivo in piazza Garibaldi a Sondrio. È lì che si sente di essere stati parte di qualcosa di unico. Due ali di folla che ti incitano per gli ultimi metri e quasi ti dimentichi che prima di svoltare l’angolo avevi solo voglia di svitarti le gambe dal male. Ed ecco in piazza la festa, la musica, la medaglia (nell’inimitabile pietra ollare), la baita in legno ricreata da Rigamonti il “papà della Bresaola” e la coppia più bella del mondo “pizzoccheri e vino rosso”. E poi via a scattare con orgoglio una foto sotto al poster “I am a finisher” assieme a chi questa gara se l’è inventata, Marco de Gasperi (in versione cartonato, quello in carne ed ossa era al traguardo ad accogliere gli atleti).

Impossibile infine non notare quanto il VWT abbia da insegnare qualcosa a tutti quelli che hanno avuto la fortuna di correrla. Mentre correvo mi sono accorta che questa gara è disseminata di tutto quello che si studia nei libri di Psicologia dello Sport. Ecco lì tra un filare di vite e un borgo antico comparire la motivazione intrinseca (quella spinta a puntare dritto verso il traguardo, nonostante tutto), la serotonina e l’adrenalina (quel concentrato di neurotrasmettitori che esalta il cervello e condiziona l’umore), il self talk (il dialogo interiore che quando volevo mollare mi ha fatto dire “taci e pensa che lunedì sei nella grigia Milano”), il sistema della ricompensa (pizzoccheri, bresaola e una buona dose di gloria mi sembrano un valido premio per lo sforzo compiuto), la resilienza (la capacità di piegarsi senza spezzarsi, modellandosi sulle avversità) e infine il flow che, per chi ha avuto la fortuna di provarlo, rappresenta lo stato di grazia, il momento perfetto.

Che poi, al di là delle medaglie, del cronometro e della prestazione, questo VWT sono certa che per molti, e ognuno a suo modo, ha rappresentato il momento perfetto.

(Ok, bene. Tutto bello ma...quanto manca alla prossima edizione?!)